🇵🇱Boooing boooing in Varsavia. Capitolo 40. 23/03/2019

🇵🇱Boooing boooing in Varsavia. Capitolo 40. 23/03/2019

“Nanninè sta vocc maggià vasà”.
Sergio Bruni nella playlist del bar in via Stanisława Moniuszki.
Nel banco frigo ci sono le coda d’Aragosta. Costano 7 plin.
La ragazza che lavora al banco fa i risolini con la collega/amica indicandomi, forse non avevano mai visto una faccia di cazzo come la mia.
È il primo giorno qui in Varsavia.
Ho una casa molto carina, il proprietario si chiama Sodebert, “but Alex call me Sobbie”.
Tipo simpatico e appena ha sentito che vivevo a Milano ha fatto due tre battute su Piotek, che è forte, che è superman, che blablabla. Lui non sa che non me ne frega un caizer del calcio.
Sobbie ha i ciuffi tondeggianti tipo il primo Dawson a.j. (ante-Joey) occhiali tondi stile John Lennon, e uno scarso senso dell’umorismo.
La casetta assomigliava alla mia, soppalcata, divano comodo, e letto pure.
Na bella televisione Mivar, di quelle che quando l’accendi fanno il rumore di un laser ultrasonico.
In questo momento sto bevendo un buon cappuccino, e mi sto gustando un bel muffin gusto afammokkalcioccolato.
La libertà d’altronde ha proprio il gusto di questo Muffin.
Avvolgente.

Ad ogni morso scopri qualcosa di nuovo.

I miei finesettimana viaggianti sono un po’ così : caos, disequilibrio, l’impulso che vince la ragione.
Calci in faccia all’inerzia dell’abitudine.
È che ogni giorno che vivo ho una fame insaziabile. Voglio riempire lo spirito.
Viaggiare per me è solo scoperta.
È solo buttarmi in situazioni nuove, rischiare, camminare di notte, prendere treni con i freni che fischiano, mangiare un piatto di pierogi alle due di notte, conoscere gente del posto, parlare, parlare, parlare. Cercar di pronunciare qualcosa nella lingua locale.
(Cappuccino finito, il primo giorno m’aspetta.
A dopo.)

Spazio temporale.

Heyla, eccomi qua.
Sono in aereo, affianco a me il solito uomo di 150 kili.
Ho gli occhi che un po’ si chiudono ma resisto perché devo scrivere a memoria calda.
Varsavia è semplicemente una delle più belle città Europee che io abbia mai visto.
Una ragazza che ho conosciuto ad un bar mi ha fatto da guida, e mi ha ringraziato per tipo 5 ore per il fatto che “Ale, You brought the sun from Italy”. Era da ottobre che non faceva caldo come oggi.
Emilia era una cara ragazza, occhi azzurrissimi, bassina, pelle bianca, e sempre sorridente. Mi ha spiegato un po’ di storia di Varsavia, mi ha fatto vedere un panorama che stupendo, forse da solo non l’avrei mai scoperto.
Spero che la mia memoria di merda non me lo faccia dimenticare troppo presto.
Sono stati due giorni intensi.
Se lascio riposare i ricordi eccoli lì, ragazzini che ballano al ritmo di un mega carillon in Strona Dekerta, e un carcioffolone con cappello e papillon che suona fiero l’hit della mia estate.
ESBIBIBABA.
Ritmo coinvolgente, condito dalle sue espressioni stile animatore di contatto che non mi sono affatto nuove.
Quel ragazzo avrà avuto la mia età, se ne fotteva di risultare ridicolo agli adulti cinicidistocazzo, lui era lì per far sorridere le persone.
I bambini lo amavano.
E così mi son seduto su una panchina di fronte, e ho assorbito tutta quell’energia generata dal suo spirito e dai bambini felici.
Se poi scavo ancor più giù nei miei ricordi, eccola li.
La signora vecchiarella da cappello rosso che leggeva il giornale accanto a me, immersa nel legno di una libreria stupenda, seduta su una poltrona rossa.
È stupendo raccontarvi il mondo così.

Mi viene in mente quella sensazione di inadeguatezza che provo ogni mattina quando prendo il treno per andare a lavoro.
Vedo sempre le stesse persone.
È un trumanshow incredibile.
Come se stessi vivendo una vita non mia.
E vedo tutte quelle persone che condividono lo stesso vagone e si ignorano. Nessuno si guarda più negli occhi, tutti con il viso sul maledetto monitor dove io stesso in questo momento sto posando i miei occhi.
Quando avevo 13/14 anni prendevo il treno per andare a far allenamento di basket.
Ricordo quanto era diverso viaggiare in treno a quei tempi.
Tutti con libri, tutti che parlavano.
Ogni sera si conosceva qualcuno, ci si scambiava informazioni con quel fare tutto napoletano che ti senti fratammè solo perché siete entrambi nati con il mare nel cuore.
A volte guardavo fuori dal finestrino e fantasticavo.
Creavo mondi, sognavo.
Il mio gioco preferito era immaginare un piccolo super Mario che saltava sulle case e sugli alberi che scorrevano veloce.
Nella mia testa facevo anche il suono Booooing Booooing.
Questa cosa a rileggerla mi fa stranissimo, forse non l’avevo mai detto a nessuno.
Era il mio gioco preferito.

Ecco perché scrivo.
La scrittura mi fa aprire cassetti della memoria che altrimenti rimarrebbero chiusi.
Email, lavoro, routine è nemica dei ricordi.
Io li proteggo così.
Viaggiando, staccandomi da tutto, e vivendo vite diverse.
Forse non diventerò mai un manager, o un ricco imprenditore.
Ma chissenefrega.
La vera ricchezza è ridere di se, è amarsi. È guardare fuori dal finestrino e vedere saltellare un piccolo super Mario.

E credetemi, mi piace il mio lavoro.
Amo i miei amici e la mia famiglia.
Ma non ci posso fare nulla, semplicemente non credo sia ‘tutto qui’.
E allora viaggio con il sapore di cioccolata tra i denti.
Viaggio, non per guardare, ma per scoprire.

Alla prossima.

Peace

Ale

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