Chiuso per Lutto. Capitolo 11. 12/07/2017
Sto fissando lo schermo da circa mezz’ora.
Sono al buio, con solo il lumetto acceso.
Oggi ho fatto gara 7: ho finito il Ciclo Mike.
Avrei voluto scrivere tante cose belle: di come Ciro sia l’infermiere con la maglia numero 10, di come Jd mi ha sorriso, di come ho cominciato a perdere i capelli.
Avrei mille storie da raccontarvi.
Ma non sono sicuro di riuscirci stasera, ragazzi.
Ho il cuore lacerato.
Questi incendi sul Vesuvio mi provocano un dolore che solo chi è cresciuto qui può capire.
Questi incendi è come se fossero una metafora del Male che attanaglia la mia Terra.
Quel Male che ogni giorno brucia intere generazioni, intere famiglie, progetti, speranze.
Quel Male che pare che si spenga e poi invece no, riparte.
Come un piccolo focolaio dormiente che aggredisce la nostra dignità appena abbassiamo la guardia.
Quel Male che non conosce differenze, che stermina senza pietà ciò che gli si presenta davanti.
Nè senti la puzza.
Tutti noi napoletani sappiamo riconoscerla: la puzza del Male.
E sentire questa puzza di fumo in casa mia, è una sconfitta.
Il Male è arrivato fin dentro le mie mura.
Sono bloccato: riesco a prendere in giro il mio destino quando si tratta di malattiaconilnomebrutto e il Ciclo Mike, ma con sta storia del Vesuvio non ce la faccio.
Non riesco ad essere positivo, non me ne vogliate.
Qui si piange.
Non posso perdere tempo a scrivere di un cicletto di chemio stupido quando fuori sta andando a fuoco tutto.
Voglio condividere qui le parole di uno scrittore che si chiama Renato Fucini, uno scrittore italiano vissuto dal 1843 al 1921.
I miei amici più stretti ricorderanno sicuramente di una nota che scrissi citando queste sue parole.
Data la situazione, voglio estendere queste due parole anche al “pubblico” del Blog di Ale.
Lui sicuramente può spiegarvelo meglio di me il rapporto d’amore che c’è tra napoletani e Vesuvio.
Vi lascio alle sue parole.
Buona lettura a tutti.
Napoli, 29 maggio 1877
“Togliete a Napoli il Vesuvio, e la voce incantata della sirena avrà
perduto per voi le sue più dolci armonie.
Nelle notti stellate, quando la bruna verruca manda i suoi sospiri di fuoco a riflettersi in una lucida striscia sul mare silenzioso; nei giorni sereni allorché gli ultimi ciuffi della sua chioma sparpagliati al vento si stendono come un velo diafano fra i dardi del sole ed il profumo dei colli di Sorrento, piovono su i vostri sensi onde così sature di altissima
poesia, che, ammaliato davanti al sublime spettacolo, l’animo vostro a poco a poco si confonde, e va a perdersi in un mare d’ineffabile malinconia. Il fascino di questo abbrustolito Prometeo, che avviva con la sua anima, di fuoco tutte le memb
ra della bellissima sfinge posata voluttuosamente ai suoi piedi, è qualche
cosa di strano, qualche cosa di irresistibile.
Scendete alla riva di Santa Lucia, o a Mergellina; salite alla rocca di
Sant’Elmo, al Vomero, a Posllipo, a Capodimonte, od in qualunque altro luogo donde si scorga la sua mole fantastica, e contemplate.
Le vostre pupille si avventeranno inebriate, come baccanti aeree, attraverso al duplice azzurro del cielo e del mare;
voleranno
insaziabili fra tanti prodigi della creazione; dal solitario Miseno all’ addormentato Eopeo, e giù per il mare biancheggiante di vele, all’arido scoglio di Tiberio ed alle balze di Sorrento, eternamente avviluppate nel loro ,poetico manto di verdi aranceti, e voleranno e
voleranno affascinate in una corsa senza freno, finché, incontrata la
fumante cima del vulcano, si poseranno stordite.
Il Vesuvio è il cuore, è l’anima, è il sunto di tutti gli splendori del
Golfo; è il rubino gigantesco che sta come il fermaglio in questa
collana di perle composta nel cielo, forse per adornare il seno di
Venere, e smarrita fra le alghe del Genio della spensieratezza.
Non v’è sguardo umano, io credo, in questa regione che la sera si chiuda senza aver guardato la cima della montagna.
Il marinaio la guarda prima di sbrogliare la vela della navicella per leggere nel suo
pennacchio la direzione del vento. L’agricoltore vede dalle nubi che si affollano intorno ai suoi fianchi se una pioggia benefica scenderà presto a rinfrescare i sudi campi; il dotto la osserva per misurare la sua piccolezza di fronte ai grandi misteri della natura; l’ignorante vi
posa volentieri lo sguardo, perché tanta bellezza è accessibile anche alle anime più ottuse; tutti infine vi si rivolgono con quel vago dubbio dell’anima, con il quale diciotto secoli or sono, ai primi sintomi della fatale eruzione, vi si saranno rivolti i concittadini di Diomede, dai terrazzi della desolata Pompei.
Egli possiede il fascino della ferocia tranquilla, le attrattive della bellezza ruvidamente accoppiata alla modestia; è il gran delinquente dalle bellissime forme che tutti ammirano perché è feroce, che tutti
amano perché
è bello.”
Brividi, eh?
(Mi dispiace per i miei lettori più assidui,
ma tornerò a scrivere appena il Vesuvio cessa di bruciare.
Ora il mio tempo lo devo dedicare a Lui.
Ci vediamo al Ciclo Kobe.)
Peace
Ale