Palla a due: un giorno importante. Capitolo 45. 16/08/2019

Palla a due: un giorno importante. Capitolo 45. 16/08/2019

Il ragnetto nell’angolo è sempre li, sopra la mia testa.
I gatti sono passati già un paio di volte sul tetto-lamiera della mia casa-stalla.
L’aria è fresca, la sento entrare dalla finestra e accarezzarmi i piedi che escon fuori dalla coperta.
Mi guardo attorno nella mia stanza e vedo magliette, palloni di basket, coni e mi sento nel posto giusto.
Stamattina mi son svegliato alle 6:45: ho un’oretta buona per scrivere.

Ieri a Suguta abbiamo fatto allenamento di basket.
Piede perno, terzo tempo, gioco senza palla, partenza giro in palleggio stessa mano stesso piede.
Stupendi.
Il primo gruppo era formato dai più piccoli: abbiamo consegnato loro dei completini e abbiamo organizzato dei giochini.
Ridevano da matti.
Ci sono alcuni che a 2 anni palleggiavano meglio di un adulto.
D’altronde è la blackpower: capacità di coordinazione incredibile, come se sentissero il ritmo risalire dalla terra.
È un ballo che noi bianco non possiamo capire, una musica che non riusciamo ad ascoltare.
Tra tutti quelli che sono qui, c’è nè uno che è il mio batuffolino preferito.
Non ha ancora due anni, ha un nome complicato che non ricordo, ha sempre il nasino sporco di latte e muco, e quasi sempre un bastoncino tra le mani. (vedi foto sotto)
È una forza della natura.
Ride, gioca, scherza, ogni tanto si stende a terra, poi cerca di salire sugli alberi, poi corre velocissimo con quelle gambe piccine, e poi viene a darmi la manina e mi guarda sorridentissimo.
Dentro i suoi occhi io vedo il fuoco dell’Africa, un’energia che ti sbatte addosso, qualcosa di nuovo e sconosciuto: intenso, vivo.
La sua manina è sicura, decisa, è forte. Da brividi.

Finito l’allenamento dei più piccoli, abbiamo cominciato con i “grandi”, che sono ragazzini livello juniores, old school basketball cit.
Sergio ha organizzato degli esercizi per migliorare la loro tecnica di tiro in layup e per insegnare loro ad usare la mano debole.
C’erano 4/5 davvero concentratissimi, si vede chiaramente che dentro di loro si è accesa la scintilla del basket.
(e in un posto del genere, è già questa una grandissima vittoria)

Appena finito, abbiamo consegnato loro delle divise supermegafighe per organizzare… Rullo di tamburi…. Una partita!
Vederli tornare dagli spogliatoi con i completini è stato stupendo, saltellavano di gioia.
Mancava solo la sigla di SpaceJam e un bel rallentatore con dissolvenza.

Palla a due.
Gli arbitri erano due ragazzi youth a cui Sergio aveva dato maglietta da arbitro e fischietto. Uno dei due è alto più di 2 metri ma purtroppo ha la coordinazione di uno struzzo.
Hanno riacquistato il nostro rispetto perché dopo aver rotto i canestri e dopo che Sergio aveva speso soldi per ripararli, si erano presentati al campo con i soldi della riparazione.
Ho capito che bisogna essere duri con loro, anche quando sembra eccessivo.
Non sono educati al rispetto del più debole.
Spero davvero che la smettano di fare i bulli contro i più piccoli, ma so che sarà un percorso lungo e molto complicato.
Il loro sistema educativo è basato sulla paura: bacchettate sulla schiena e schiaffi forti.
Gli insegnanti hanno lo stick che è un bastone di legno pronto a frustare chi non obbedisce.
Questo è il loro modo di far capire al più debole chi comanda, questo è il loro modo di educare un bimbo che non fa bene i compiti a casa.

Kalifa, bum bum, giro in palleggio, from downtownnnn, ciaff.

Non vedevo l’ora di vederli giocare con delle scarpe di basket.
Chi gioca a basket sa che rapporto simbiotico c’è tra un giocatore e le sue scarpe.
Ricordo come fosse ieri le mie Nike Air quanto le pulivo a fine di ogni allenamento.
Bianche, nere, blu con baffo giallo.
Quando cominciavano ad essere vecchie, le coloravo ogni volta con l’uniposca per farle sembrare ancora bianco e nero brillante.
Erano davvero na bomba e sentivo d’essere cento volte più forte quando le mettevo.
Spero che quelle che regaleremo diano la stessa mia sensazione anche a questi ragazzi.

Finito allenamento abbiamo pranzato con Padre Albert, riso bianco, carne di capra, e patate.
Ho ascoltato in maniera passiva ai suoi racconti: pensavo già a quando avremmo finito e consegnato le scarpe.
Era un’ossessione per me.
Non vedevo l’ora.

Dopo un’oretta, li abbiamo fatti venire vicino la mensa della loro scuola. Avevamo due borsoni pieni.

Il resto è storia: la felicità.

Ah, Kalifa da ieri fa il giro in palleggio con due Kd rosse.

Il ragnetto è sempre lì.
Vado a colazione.

Alla prossima,

Peace

Ale


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